Li surfarara e la Festa di Pasqua di Salvatore Granata - Seconda parte



Li surfarara e la "Festa"
di Salvatore Granata 

Seconda Parte




L’apertura delle miniere, all’inizio, portò dei benefici economici alla popolazione. Gli “zolfatai” venivano pagati ogni quindici giorni: nella prima quindicina ricevevano l’acconto; nella seconda, il saldo del salario mensile. Certamente la circolazione della moneta favorì la crescita del paese che in pochi anni riuscì ad ingrandirsi notevolmente, basti pensare che nei primi del novecento Riesi contava circa 20.000 abitanti. 

Il bestiale lavoro svolto dagli “zolfatai” nelle miniere e il “disprezzo” che essi avevano per la vita, esposta continuamente a gravi pericoli, influì anche sulla formazione della personalità e del carattere del riesino che qualcuno, in passato, ebbe a definire “aperto e ribelle”. Si può essere anche d’accordo col Ferro quando dice che “il nostro paese essendo un paese interno della Sicilia, isolato, che non ebbe nel passato mezzi di comunicazione celeri, ha sempre fatto da sé progredendo [...]” (Ferro, 1934, p.5); perché il riesino con la sua tenacia e la sua caparbietà, nonostante l’isolamento fisico è sempre riuscito ad aprirsi alle innovazioni e a ribellarsi alle ingiustizie. (Come lo dimostra la sua fattiva partecipazione all’iter risorgimentale).
Sarebbe interessante scoprire come le attività minerarie abbiano contribuito al cambiamento della vita dei riesini. Esse, non solo influirono molto sullo sviluppo politico–economico e sociale del paese; ma, anche, determinarono un nuovo “modus vivendi” influenzando usi e costumi locali che divennero propri del mondo minerario.
Il Ferro e il Baglio fanno un’ampia descrizione della vita di quei tempi e degli zolfatai i quali, nonostante, durante il lavoro, si trovassero in costante pericolo, fuori dalla miniera amavano il divertimento e solitamente “[…] il sabato sera, la domenica e il lunedì mattina, in paese facevano una vita spendereccia. Lo zolfataio si distingueva subito nella vita” (Ferro, 1934, p. 56). Queste testimonianze ci fanno capire il tenore di vita degli zolfatai, assai diverso da quello dei contadini che all’interno della sfera sociale erano i loro principali “antagonisti”. Infatti, i contadini in passato si distinguevano per la loro “tirchieria”. Essi di solito non sperperavano il denaro e mettevano da parte una quota del guadagno del proprio raccolto per i periodi di magra. Anche Clelia Infuso, nella sua tesi di Laurea “Il Folklore di Riesi” riporta dei detti popolari che riassumono e confermano quanto scritto: il contadino, “gaza dudici tarì arriuluti ppi la simana si san Paulu”, (1960, p. 125); lo zolfataio, “oi (oggi) c’è lu pani e si mangia, di dumani si nun ci nn’è si fa cridenza”, (1960, p. 143).
Gli zolfatai, ormai caratterizzatesi come un nuovo ceto sociale, verso la metà del XIX secolo, incominciarono ad occuparsi dell’organizzazione dei riti pasquali;1 sicuramente lo spirito competitivo e l’ovvio riflesso di contrasti sociali spinse le varie categorie di lavoratori ad organizzare e/a “suddividersi” le tre feste religiose più importanti: Pasqua, come abbiamo detto, zolfatai; Madonna della Catena patrona del paese, contadini; San Giuseppe, artigiani. “I rituali processionali, infatti, pur prefiggendosi lo scopo di testimoniare la devozione di tutti i ceti e le classi d’età, di fatto ne confermano la necessaria esistenza. Mediante confraternite e gruppi di mestiere le diverse categorie professionali esibiscono, attraverso l’ostentazione dell’impegno devozionale, forza economica e privilegi” (I.E. Buttitta, 2002, p. 217).

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