La Storia di Don Scuderi a Riesi 

(...) Dopo Gela, Riesi sarà il nuovo campo di apostolato che si apre alla multiforme attività del nostro missionario.
Si tratta di una delle aree più depresse della Sicilia: terra di zolfatai e contadini, votati alla povertà e costretti all’emigrazione. Una zona non facile anche spiritualmente, per la forte presenza della chiesa protestante, che vi aveva messo le radici da circa un secolo.
I salesiani si presero cura della città, di oltre 15.000 abitanti, nel 1940, su consiglio di papa Pio XII. Al vescovo, mons. Mario Sturzo, che si lagnava dell’abbandono in cui viveva la popolazione, aveva detto:
— Chiamate i figli di don Bosco: a Riesi ci vogliono loro!
I salesiani che lo avevano preceduto, lavorando con grande ze­lo, erano riusciti a riconquistare buona parte della popolazione. Don Scuderi vi portò l’entusiasmo della sua dinamica creatività. Diede nuovo impulso all’attività pastorale nelle quattro parrocchie, fece restaurare diverse chiese al culto, come aveva fatto con grande coraggio a Gela; aprì per primo un dialogo ecumenico con il pa­store protestante del luogo; soprattutto si propose di affrontare e risolvere tre grossi problemi.
Il primo e più urgente: avere in città le suore che si occu­passero della gioventù femminile. Si recò personalmente a Torino dalla Madre generale, e ottenne che mandasse le Figlie di Maria Ausiliatrice, per le quali preparò una bella casa accogliente, con vasti cortili per l’oratorio quotidiano.
Il secondo problema riguardava la periferia della città: grossi quartieri, completamente isolati dal centro, privi di assistenza reli­giosa. Acquistò case e appezzamenti di terreno, creando delle pic­cole oasi di attività ricreativa e pastorale. In una zona chiamata « conventu », affittò in un primo tempo una casetta, dove mandò il confratello don Antonio Duca, missionario da poco rientrato dalla Birmania, che vi aprì una scuola materna, un oratorio quotidiano e una cappella.
— Qui — gli disse — non ti mancherà il lavoro e non rim­piangerai la missione che hai dovuto abbandonare.
— In breve — ricorda don Duca — la gente, prima ostile alla Chiesa, che considerava i preti come « nemici del popolo », diven­ne cordiale e riconoscente per il lavoro che andavamo svolgendo.
Riuscì poi a realizzare un nuovo grande oratorio e centro gio­vanile, comperando una vasto appezzamento di terreno di 3.600 mq, sempre in periferia: un antico cimitero trasformato in vi­gneto.
Il terzo grosso problema era rappresentato dal grave fenomeno dell’emigrazione, che costringeva le persone più valide ad abban­donare il paese per cercare lavoro all’estero, dove sovente fini­vano di sistemarsi con tutta la famiglia.
Cominciò pertanto ad aprire un « centro di assistenza per emigrati », preoccupandosi dell’educazione dei figli, lasciati spesso soli, affidati ai nonni o a qualche parente. Poi, profondamente colpito dallo stato di arretratezza e di abbandono in cui vivevano molte famiglie a causa dell’esodo degli uomini emigrati, decise di realizzare un « centro sociale », chiamando i giovani a colla­borare in campi di lavoro.
Scrisse al Rettor maggiore don Ricceri, presentando il suo progetto: « Abbiamo molti giovani volenterosi, disoccupati, che spesso non sanno come trascorrere la giornata, mentre tante famiglie vivono in condizioni di miseria proprio per mancanza di braccia... Non chiedo aiuti economici, ma solo del personale che dia una mano a risolvere situazioni esasperate ».
Don Ricceri girò la lettera a don Armando Buttarelli, dele­gato nazionale dei cooperatori, e questi telefonò a don Mario Co­gliandro, a quel tempo incaricato dei cooperatori ed exailievi della Sicilia occidentale.
— La telefonata — dice don Cogliandro —, giunse proprio a proposito. Due giorni prima, mentre spiegavo un brano del Van­gelo ai miei giovani, uno di loro mi aveva interrotto dicendo: « Sia­mo stanchi di stare attorno a un tavolo a discutere, ci dia qualcosa da fare! ».
Vidi chiara la voce del Signore; mi misi subito in contatto con don Scuderi e nell’estate del ‘69 iniziammo due campi di lavoro:
uno a Riesi e l’altro a Talana in Sardegna. Vi parteciparono 150 giovani tra i 18 e 25 anni, offrendo una meravigliosa testimonianza di lavoro disinteressato, di vita comunitaria e di fede vissuta[1].
L’anno successivo, dopo una severa autocritica e una prepara­zione più accurata, si ripeté l’esperienza con due campi in Sicilia:
Riesi e Palma di Montechiaro; due in Sardegna: Talana e Urzulei; e uno in Mouse a Cupone. Negli anni che vanno dal ‘69 al ‘79 si realizzò un totale di 70 campi che hanno impegnato più di 1.500 giovani in 23 località diverse. L’iniziativa di don Scuderi avrà mo­do di estendersi, impegnando moltissimi giovani, che, oltre al bene operato a servizio dei più poveri, saranno essi stessi i primi bene­ficati[2].
Un altro aspetto anche più doloroso del fenomeno migratorio toccò profondamente l’animo sensibile di don Scuderi: lo stato di abbandono nel quale vivevano molti vecchi, rimasti soli nelle loro catapecchie, dopo che l’intera famiglia si era trasferita altrove. Un giorno, passando per un vicolo della città, ne vide uno ridotto in uno stato pietoso.
— Non possiamo lasciarlo morire in quelle condizioni — disse ai confratelli —; dobbiamo fare assolutamente qualcosa per questi poveretti
Cercò e riuscì a trovare un fabbricato con diverse stanze: na­sceva così la « casa-ricovero per anziani ». Il problema più diffi­cile fu indurre quel primo ospite ad abbandonare il suo tugurio. Lo convinse infine a seguirlo nella nuova dimora, lo lavò dopo an­ni che non faceva il bagno, rivestendolo a nuovo. Per fargli com­pagnia durante la notte, andò a dormire con lui, interrompendo sovente il sonno per rispondere alle sue molteplici necessità. Con­quistato da tanta bontà, quel povero vecchio finì per riconciliarsi con Dio e con la Chiesa, che aveva ormai da tanti anni abbando­nato!
Ma i vecchi soli e abbandonati erano tanti a Riesi; a quel tempo non esisteva l’assistenza pubblica e neppure la « pensione sociale », per, cui molti poveretti erano costretti a mendicare per sopravvivere
In breve la casa si riempì di questi relitti umani, ai quali biso­gnava provvedere tutto.
— Dobbiamo creare un ambiente più ampio e accogliente, di­ceva, la Provvidenza ci aiuterà a trovare i mezzi, in fondo sono i prediletti di Dio!
Due categorie soprattutto muovevano a pietà: i fanciulli poveri e abbandonati, che hanno tutta la vita davanti a sé e hanno bisogno di chi li aiuti ad affrontarla e i vecchi, avviati al tramonto, con il ba­gaglio di una esistenza intessuta di lavoro, sacrifici e dolore...
Aiutato da molti benefattori, ammirati da questa sua eroica carità verso gli anziani, riuscì a realizzare il suo sogno: il grande ospizio « Papa Giovanni », dove attualmente tante persone, giunte ormai al termine della loro vita, trovano amorevole assistenza e conforto.
Quando, dopo nove anni di rettorato, i superiori dovettero tra­sferirlo, tutta la cittadinanza tentò di opporsi perché rimanesse ancora. Ma egli, come sempre, higio alla regola e fedele all’obbe­dienza, troncò con bontà e fermezza ogni tentativo di mutare le decisioni dei superiori. Il rimpianto fu unanime e molti cittadini continuarono ad affrontare il lungo viaggio fino a Catania per la gioia di rivederlo e manifestargli il loro affetto e la loro gratitu­dine.

Quando don Scuderi lasciò Riesi, aveva 75 anni. I superiori pensarono che aveva finalmente diritto a riposarsi, trascorrendo gli ultimi anni nella pace e nella serenità. Perciò lo destinarono alla casa di formazione di San Gregorio, la cittadina che gli era così cara, dove aveva trascorso l’anno di noviziato e goduto le prime gioie dell’apostolato sacerdotale, prima di partire per l’India.
Lasciò Riesi alla chetichella, il 24 settembre 1977, per evitare dimostrazioni di chi voleva trattenerlo, e anche la commozione che non si può nascondere quando si lascia un luogo tanto caro e amato. Scrive nel suo taccuino: « Oggi comincia il declino della mia vita. Parto alle cinque del mattino in incognito da Riesi ».



Fonte: Don Vincenzo Scuderi, scritto da Don Luigi Ricceri

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