QUEL FUOCO PER NOI
di Claudia Lo Blundo 

TERZA e ULTIMA PARTE- LA SCELTA SBAGLIATA 


L’ultimo giorno di scuola mentre noi alunni, emozionati, aspettavamo di conoscere l’esito dei nostri esami, nell’atrio della scuola giunse una coppia, si vedeva subito che non erano del paese. Lei era alta, elegante nel suo abitino quasi estivo, i capelli erano biondi e era truccata in maniera ben diversa da come avessi visto sino ad allora in paese; l’accompagnava un bel giovane, si proprio bello, distinto, ben vestito.
Non so perché mi parve di cogliere uno sguardo di contrarietà negli occhi di mia zia; fu un attimo!
La lettura del risultato scolastico mi fece distrarre e non vidi più quella coppia, né ci pensai più. Poi, tempo dopo, una sera, mentre ero con alcune amiche, in piazza si fermò una macchina coupé dalla quale scese un giovane, era quello visto a scuola, che si diresse verso il gruppo in cui mi trovavo.
Risolini da parte delle mie amiche ma a me il cuore iniziò a battere forte.
Mi si avvicinò e mi disse di andare con lui perché che doveva parlarmi.
“Di cosa?” domandai un po’ preoccupata.
Di fronte alla mia esitazione le amiche, mi incitarono e andai con lui.
In macchina facemmo un breve tragitto, mi offri un gelato, mi chiese che prospettive avessi per il futuro e aggiunse che avrebbe potuto trovarmi un lavoro adatto al mio titolo di studio.
Chissà perché, ma alla zia non dissi nulla di quell’incontro né degli altri successivi, durante i quali lui mi parlava con voce calda, suadente, e, mentre diceva di essersi innamorato di me, ogni volta le sue avance si facevano più intraprendenti.
Io ero imbarazzata: forse sarei voluta fuggire o, forse, mi piaceva essere oggetto di quelle attenzioni, non so, avevo tanta confusione in testa e non ero assolutamente in grado di ricordare gli insegnamenti della zia.
Mi diceva:
“Vuoi lavorare? Vuoi guadagnare? Sei carina, puoi diventare ricca, famosa!”
Quando gli domandavo chi fosse la signora venuta con lui a scuola, rispondeva in maniera evasiva: era un’amica!
La sera in cui mi disse di essersi innamorato di me e che intendeva sposarmi volle che cedessi alle sue offerte, voleva la prova d’amore, o meglio, se la prese, nonostante io non volessi: lo picchiavo, l’imploravo ma lui non si lasciò commuovere mentre non faceva che dirmi che ero una sciocchina, perché mi avrebbe sposata, mi avrebbe fatto vivere come una ricca signora.
Tornai a casa distrutta, ora capivo che cosa aveva fatto mia madre della sua vita, e, cosa ben più grave, subito lo capì la zia e ne vide le conseguenze quando, poco dopo, fu lei a capire che ero incinta.
Non mi diede il tempo di pensare a quel che si agitava nel mio corpo, mi portò da una donna che devastò, non solo la vita di quella creatura che certo sognava di venire alla luce in modo ben più diverso, ma devastò me.
“ Ormai sei come una vecchia ciabatta, buona solo a essere buttata via o forse per essere raccolta dal più misero degli uomini”.
Così mi disse la zia, e mi cacciò da casa.
Cercai rifugio dalla mammana che mi fece conoscere un giovane.
Mentre lui mi diceva di non disperarmi perché ero giovane e bella, e che avrebbe trovato un lavoro adatto a me, mi ritrovai incinta e, subito, un nuovo trauma, mentre sprofondavo nel gradino più infimo della mia perdura moralità.
Poi quello che, finalmente, mi sembrò uno spiraglio!
“Andiamo in Italia, lì lavorerai e ti troverai bene”.
Ha pensato a tutto lui, anche al passaporto che non ho; però nascondo gelosamente la carta d’identità del mio paese, ormai ho capito come funziona: sono maturata per certe cose. Ormai non mi fido più di nessuno, del resto come potrei? Mi basta dare uno sguardo a questi anni passati e a quel che mi è capitato.
Siamo partite in cinque, e lavoriamo tutte qui.
Brrr che freddo!
Perché continuo a ricordare? O forse non si tratta di ricordi, forse si tratta di sogni e questo, sui miei figli perduti, è troppo brutto per essere il mio sogno, forse è il sogno di Lisaveta o di un’altra di noi...!
Si, il mio ricordo, senza dubbio, è un altro: non può essere andata così come ho appena ricordato, ma deve essere andata in un altro modo.
Ecco, si!
Quando mi trovai incinta la seconda volta non volli abortire e capii solo allora che mia madre, comunque, mi aveva voluto bene, perché almeno aveva permesso che io avessi la vita, anche se si tratta di una vita triste. Chi mi stava vicino mi diceva che mio figlio sarebbe stato adottato e a me avrebbero dato tanti soldi, ma io non volli abbandonare alla nascita quel bambolotto che era mio figlio e gli diedi il mio nome. Chissà come sarà cresciuto! Cosa farà, forse mi cerca? Piuttosto che saperlo in cielo, preferisco pensare che mio figlio si trovi in qualche orfanotrofio, forse lo stesso in cui sono cresciuta io.
Quando mi pagano, nascondo una parte dei soldi e non importa se Sacha mi picchia perché dice che mi faccio pagare poco dai clienti.
Ho un progetto: quando riuscirò a mettere da parte un bel po’ di soldi, scappo da qui, torno al mio paese e vado a cercare mio figlio.
L’Italia è un bel paese e la gente, fin quando non sa il lavoro che faccio, è gentile. Troverò un lavoro da badante poi farò adottare mio figlio qui in Italia: c’è tanta gente che vuole adottare i bambini del nostro paese, troverò una famiglia, lo farò adottare, poi lo rapisco e me ne andrò con lui da un’altra parte.
Che sciocca che sono, forse neanche questo sogno mi appartiene: forse non ho sogni, né passato, né futuro.
Se stasera non si fermasse nessuno sarebbe un sollievo!
Acc! Non dovevo parlare! Ecco una macchina, viene proprio verso di me: non avrei dovuto mettermi in vista così vicino al fuoco.
E ora mi tocca essere carina con il cliente.
Il mio Sacha, è lui che mi fa lavorare, dice che se non sono carina i clienti non vengono e, se non vengono, lui, ormai lo so, mi picchia a sangue.
La zia mi diceva che se fossi riuscita a prendere un diploma avrei trovato un lavoro dignitoso che mi avrebbe permesso di fare strada nella società.
Si, povera zia, ne ho fatta di strada!
Ogni sera passeggio lungo questa via buia, segnata da lampioni che danno una luce fioca, proprio adatta per invogliare a rapporti clandestini tra uomini che si fermano e donne obbligate a offrirsi, anche se per pochi soldi, nella speranza di far giungere qualcosa ad una madre o ad un figlio lontano.
Forse aveva ragione la zia: il sangue non mente, sono diventata come mia madre e, come sarà accaduto a lei, non vedo una via d’uscita a questo orrore di vita.

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