La comunicazione al tempo dei garibaldini



In occasione di una recente visita, per alcune mie ricerche, al Museo Nazionale del Risorgimento di Torino - straordinario nel suo genere, con un personale addetto di altissimo livello e riportato a nuovo splendore in occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia - mi sono imbattuto in un aspetto fino ad oggi poco esaminato dagli storici. Mi riferisco all'elemento che oggi potremmo definire della "comunicazione"; ad esempio quella relativa all'impresa garibaldina in Sicilia, con la pubblicazione di manifesti, avvisi, volantini, ecc. Quello di Torino è l'unico museo, dei 23 analoghi in tutta Italia, ad essere riconosciuto come Nazionale, con le sue 30 sale nel palazzo Carignano, sede del primo parlamento del regno. Ricchissima anche l'annessa biblioteca e archivio.
«Il museo - dice il suo direttore prof. Umberto Levra, ordinario di storia del Risorgimento all'Università di Torino - racconta un Risorgimento che risponde alle tante domande che l'oggi rivolge a ieri e all'altro ieri da cui veniamo (…) oggi ancor più necessario - continua - in presenza di una sempre più drammatica perdita di memoria».
Immerso tra centinaia di oggetti e documenti mi sono imbattuto anche su un "avviso" garibaldino alle popolazioni nissene su cui tornerò avanti.
Come è noto Garibaldi, partito da Quarto (Genova), il 5 maggio 1860, sbarcava a Marsala l'11 con circa mille uomini a cui si sarebbero aggiunti, via via, i "picciotti" siciliani. In breve tempo i garibaldini avevano la meglio sulle ben più numerose ed attrezzate truppe borboniche. Da Salemi a Calatafimi, fino al trionfale ingresso di Palermo, il 27.
Dopo l'arrivo nel capoluogo siciliano, le colonne garibaldine proseguivano nell'isola verso tre diverse direzioni di marcia. Quelle destinate alla nostra provincia erano guidate da Nino Bixio (Gela-Niscemi) e Stefano Turr (Enna- Caltanissetta). Tutte le colonne si sarebbero, una volta liberata la Sicilia dai Borboni, ricongiunte il 9 agosto a Messina, per proseguire verso le Calabrie e Napoli.
In quel frangente si poneva, per lo Stato Maggiore di Garibaldi, l'esigenza di comunicare, nel modo più semplice possibile, con le popolazioni (di cui, ricordiamo, oltre il 90% analfabete). Da lì, tutta una serie di pubblicazioni di manifesti, volantini, ordinanze fatti affiggere o circolare nei paesi e città della Sicilia. Molto di quei materiali, che ho avuto modo di vedere a Torino, rappresentano veri e propri prodromi delle odierne campagne di comunicazione.
Si inizia con un documento, pubblicato mesi prima dell'impresa di Garibaldi in Sicilia, quando, il 12 gennaio 1860, il patriota Giuseppe La Masa, fa circolare un volantino clandestino dal titolo "Fratelli", col quale incita i siciliani a schierarsi per l'Italia Unita sotto Vittorio Emanuele II.
Sbarcati i garibaldini in Sicilia, iniziano le reazione da ambo le parti in tutta l'isola. Nel quartiere S. Lorenzo in Palermo avviene una prima controreazione borbonica che porta alla morte di numerosi civili. Il 6 maggio lo Stato Maggiore di Garibaldi fa stampare e diffondere nel capoluogo siciliano un manifesto dal titolo: "Eroiche gesta delle donne siciliane", a cui si da merito di essersi schierate in combattimento a fianco dei loro uomini. Ed ecco scorgere il Decreto emanato in Salemi il 14 maggio 1860, con il quale Garibaldi assume, nel nome di Vittorio Emanuele II, la dittatura di Sicilia. Segue quello di due giorni dopo in Calatafimi, dove lo stesso neo dittatore invita i siciliani all'arruolamento nelle camicie rosse: "Con compagni come voi, - scrive - io posso tentare ogni cosa", ma si rammarica anche - da vero soldato - di dover combattere contro altri soldati italiani, dandovi merito di aver combattuto una "resistenza degna di veri uomini". Interessante è il comunicato del Comando Generale delle guerriglie dal titolo "Ai Comuni Liberi della Sicilia" a firma di La Masa, che dopo i fatti di Gibilrossa e la tregua chiesta dai borbonici, invita le popolazioni all'arruolamento. "I tre giorni di tregua chiesteci - scrive - devono da noi consacrarsi all'ingrossamento della forza nazionale (…). E prosegue: "Questi tre giorni, o fratelli, debbono scavare la fossa alla dinastia borbonica. Alle armi dunque! ".
Uno di quei documento, firmato da Nino Bixio e datato 25 luglio, riguarda anche la nostra provincia. E' diretto infatti alle popolazioni di Catania, Noto, Caltanissetta e Girgenti, le quali si invitano, ancora una volta, a schierarsi con il Gen. Garibaldi "che vi condurrà - è scritto - alla vittoria come sempre".
Ma si toccano anche aspetti organizzativi dei municipi, di armamento, vestiario, mobilitazione, casermaggio, trasporto, punti di concentramento delle truppe ecc. Un affascinante spaccato di storia e che andrebbe approfondito.
Filippo Falcone


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