La Storia di Don Scuderi a Riesi
Vincenzo Scuderi nacque a Ramacca, in provincia di Catania, il 30 maggio 1902, primogenito di Gaetano, possidente, e Carmela Calcaterra di Palagonia, di famiglia benestante. Crebbe in una famiglia dai principi religiosi; dopo la licenza elementare incontrò Don Giacomo Branciforti, che lo seguì nella preparazione agli studi ginnasiali: fu così che entrò nell’istituto salesiano San Filippo Neri di Catania. Il 5 dicembre 1917 entrò nell’Istituto San Gregorio in provincia di Catania per iniziare il suo anno di noviziato nella Famiglia Salesiana; qui ebbe due importanti figure che lo aiutarono negli anni di formazione: Don Luigi Terrone e Don Domenico Ercolini. Il 20 settembre 1918 emise la prima professione religiosa; l’11 maggio 1921 raggiunge l’Oratorio San Luigi di Messina e, nel 1924, emise la professione perpetua. Fu ordinato sacerdote il 29 maggio 1926 e fu assegnato alla casa di San Gregorio: contribuì a fare di questo oratorio un centro di interesse per la cittadina, ma il suo desiderio era quello di andare in missione. E così il 12 ottobre 1928, dopo aver trascorso qualche giorno a Valdocco, parte per l’India: qui nel 1934 venne nominato Ispettore e, successivamente, Amministratore Apostolico della Diocesi di Krishnagar, fino al 1939. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale venne fatto prigioniero dai soldati inglesi (all’epoca l’India era ancora parte dell’Impero Britannico; l’Italia aveva dichiarato guerra alla Gran Bretagna a fianco della Germania) fino al 1946, per sei anni. Rientrato in Italia nel 1952, nel 1953 assunse la guida del nascente Oratorio Sacro Cuore di Caltanissetta per nove anni, sino al 1962, quando venne trasferito a Gela e, successivamente, a Riesi.
Si tratta di una delle aree più depresse della Sicilia:
terra di zolfatai e contadini, votati alla povertà e costretti all’emigrazione.
Una zona non facile anche spiritualmente, per la forte presenza della chiesa
protestante, che vi aveva messo le radici da circa un secolo.
I salesiani si presero cura della città, di oltre 15.000
abitanti, nel 1940, su consiglio di papa Pio XII. Al vescovo, mons. Mario
Sturzo, che si lagnava dell’abbandono in cui viveva la popolazione, aveva
detto:
— Chiamate i figli di don Bosco: a Riesi ci vogliono loro!
I salesiani che lo avevano preceduto, lavorando con grande
zelo, erano riusciti a riconquistare buona parte della popolazione. Don
Scuderi vi portò l’entusiasmo della sua dinamica creatività. Diede nuovo
impulso all’attività pastorale nelle quattro parrocchie, fece restaurare
diverse chiese al culto, come aveva fatto con grande coraggio a Gela; aprì per
primo un dialogo ecumenico con il pastore protestante del luogo; soprattutto
si propose di affrontare e risolvere tre grossi problemi.
Il primo e più urgente: avere in città le suore che si occupassero
della gioventù femminile. Si recò personalmente a Torino dalla Madre generale,
e ottenne che mandasse le Figlie di Maria Ausiliatrice, per le quali preparò
una bella casa accogliente, con vasti cortili per l’oratorio quotidiano.
Il secondo problema riguardava la periferia della città:
grossi quartieri, completamente isolati dal centro, privi di assistenza religiosa.
Acquistò case e appezzamenti di terreno, creando delle piccole oasi di
attività ricreativa e pastorale. In una zona chiamata « conventu », affittò
in un primo tempo una casetta, dove mandò il confratello don Antonio Duca,
missionario da poco rientrato dalla Birmania, che vi aprì una scuola materna,
un oratorio quotidiano e una cappella.
— Qui — gli disse — non ti mancherà il lavoro e non rimpiangerai
la missione che hai dovuto abbandonare.
— In breve — ricorda don Duca — la gente, prima ostile alla
Chiesa, che considerava i preti come « nemici del popolo », divenne
cordiale e riconoscente per il lavoro che andavamo svolgendo.
Riuscì poi a realizzare un nuovo grande oratorio e centro
giovanile, comperando una vasto appezzamento di terreno di 3.600 mq, sempre in
periferia: un antico cimitero trasformato in vigneto.
Il terzo grosso problema era rappresentato dal grave
fenomeno dell’emigrazione, che costringeva le persone più valide ad abbandonare
il paese per cercare lavoro all’estero, dove sovente finivano di sistemarsi
con tutta la famiglia.
Cominciò pertanto ad aprire un « centro di assistenza
per emigrati », preoccupandosi dell’educazione dei figli, lasciati
spesso soli, affidati ai nonni o a qualche parente. Poi, profondamente colpito
dallo stato di arretratezza e di abbandono in cui vivevano molte famiglie a
causa dell’esodo degli uomini emigrati, decise di realizzare un « centro
sociale », chiamando i giovani a collaborare in campi di lavoro.
Scrisse al Rettor maggiore don Ricceri, presentando il suo
progetto: « Abbiamo molti giovani volenterosi, disoccupati, che spesso
non sanno come trascorrere la giornata, mentre tante famiglie vivono in
condizioni di miseria proprio per mancanza di braccia... Non chiedo aiuti
economici, ma solo del personale che dia una mano a risolvere situazioni
esasperate ».
Don Ricceri girò la lettera a don Armando Buttarelli, delegato
nazionale dei cooperatori, e questi telefonò a don Mario Cogliandro, a quel
tempo incaricato dei cooperatori ed exailievi della Sicilia occidentale.
— La telefonata — dice don Cogliandro —, giunse proprio a
proposito. Due giorni prima, mentre spiegavo un brano del Vangelo ai miei
giovani, uno di loro mi aveva interrotto dicendo: « Siamo stanchi di
stare attorno a un tavolo a discutere, ci dia qualcosa da fare! ».
Vidi chiara la voce del Signore; mi misi subito in contatto
con don Scuderi e nell’estate del ‘69 iniziammo due campi di lavoro:
uno a Riesi e l’altro a Talana in Sardegna. Vi parteciparono
150 giovani tra i 18 e 25 anni, offrendo una meravigliosa testimonianza di
lavoro disinteressato, di vita comunitaria e di fede vissuta[1].
L’anno successivo, dopo una severa autocritica e una preparazione
più accurata, si ripeté l’esperienza con due campi in Sicilia:
Riesi e Palma di Montechiaro; due in Sardegna: Talana e
Urzulei; e uno in Mouse a Cupone. Negli anni che vanno dal ‘69 al ‘79 si
realizzò un totale di 70 campi che hanno impegnato più di 1.500 giovani in 23
località diverse. L’iniziativa di don Scuderi avrà modo di estendersi,
impegnando moltissimi giovani, che, oltre al bene operato a servizio dei più
poveri, saranno essi stessi i primi beneficati[2].
Un altro aspetto anche più doloroso del fenomeno migratorio
toccò profondamente l’animo sensibile di don Scuderi: lo stato di abbandono nel
quale vivevano molti vecchi, rimasti soli nelle loro catapecchie, dopo che
l’intera famiglia si era trasferita altrove. Un giorno, passando per un vicolo
della città, ne vide uno ridotto in uno stato pietoso.
— Non possiamo lasciarlo morire in quelle condizioni — disse
ai confratelli —; dobbiamo fare assolutamente qualcosa per questi poveretti
Cercò e riuscì a trovare un fabbricato con diverse stanze:
nasceva così la « casa-ricovero per anziani ». Il problema più difficile
fu indurre quel primo ospite ad abbandonare il suo tugurio. Lo convinse infine
a seguirlo nella nuova dimora, lo lavò dopo anni che non faceva il bagno,
rivestendolo a nuovo. Per fargli compagnia durante la notte, andò a dormire
con lui, interrompendo sovente il sonno per rispondere alle sue molteplici
necessità. Conquistato da tanta bontà, quel povero vecchio finì per
riconciliarsi con Dio e con la Chiesa, che aveva ormai da tanti anni abbandonato!
Ma i vecchi soli e abbandonati erano tanti a Riesi; a quel
tempo non esisteva l’assistenza pubblica e neppure la « pensione sociale
», per, cui molti poveretti erano costretti a mendicare per sopravvivere
In breve la casa si riempì di questi relitti umani, ai quali
bisognava provvedere tutto.
— Dobbiamo creare un ambiente più ampio e accogliente, diceva,
la Provvidenza ci aiuterà a trovare i mezzi, in fondo sono i prediletti di Dio!
Due categorie soprattutto muovevano a pietà: i fanciulli
poveri e abbandonati, che hanno tutta la vita davanti a sé e hanno bisogno di
chi li aiuti ad affrontarla e i vecchi, avviati al tramonto, con il bagaglio
di una esistenza intessuta di lavoro, sacrifici e dolore...
Aiutato da molti benefattori, ammirati da questa sua eroica
carità verso gli anziani, riuscì a realizzare il suo sogno: il grande ospizio «
Papa Giovanni », dove attualmente tante persone, giunte ormai al
termine della loro vita, trovano amorevole assistenza e conforto.
Quando, dopo nove anni di rettorato, i superiori dovettero
trasferirlo, tutta la cittadinanza tentò di opporsi perché rimanesse ancora.
Ma egli, come sempre, higio alla regola e fedele all’obbedienza, troncò con
bontà e fermezza ogni tentativo di mutare le decisioni dei superiori. Il
rimpianto fu unanime e molti cittadini continuarono ad affrontare il lungo
viaggio fino a Catania per la gioia di rivederlo e manifestargli il loro
affetto e la loro gratitudine.
Quando don Scuderi lasciò Riesi, aveva 75 anni. I superiori pensarono
che aveva finalmente diritto a riposarsi, trascorrendo gli ultimi anni nella
pace e nella serenità. Perciò lo destinarono alla casa di formazione di San Gregorio, la cittadina che gli era così
cara, dove aveva trascorso l’anno di noviziato e goduto le prime gioie
dell’apostolato sacerdotale, prima di partire per l’India.
Lasciò Riesi alla chetichella, il 24 settembre 1977, per
evitare dimostrazioni di chi voleva trattenerlo, e anche la commozione che non
si può nascondere quando si lascia un luogo tanto caro e amato. Scrive nel suo
taccuino: « Oggi comincia il declino della mia vita. Parto alle cinque
del mattino in incognito da Riesi ».
Nel 1977 fece ritorno a San Gregorio; qui morì il 22 novembre 1982. Le sue spoglie riposano a San Gregorio.
Fonte: Don Vincenzo Scuderi missionario di fuoco di Giulia Bonelli.
Fonte: Don Vincenzo Scuderi, scritto da Don Luigi Ricceri
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